Anno VII - Giugno 2009 - Numero 13

Parola&parole
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pep13 - CHF 8.00 / € 5.00

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EDITORIALE

Una lettura che sazia

di Cleto Rizzi

 

     «Con la lettura e lo studio dei Sacri Libri "la parola di Dio si diffonda e sia glorificata" (2 Ts 3,1), e il tesoro della rivelazione, affidato alla Chiesa, riempia sempre più il cuore degli uomini»(1). In tempi di rivisitazione dei testi del Vaticano II questo stralcio dell'epilogo del documento conciliare mi sembra profetico.

     La conoscenza della "Storia Sacra" è stata per secoli un patrimonio di cultura generale dei cristiani.

Non mancavano libri con adeguate raffigurazioni dei momenti salienti (creazione, diluvio, sacrificio di Isacco, passaggio del mar Rosso, Alleanza sul Sinai, Daniele nella fossa dei leoni ...) e delle sintesi dei testi. Le catechesi parrocchiali rafforzavano poi questa sequenza di fatti nel grande quadro della storia della salvezza. Le opere che gli artisti di tutti i tempi hanno prodotto a partire dal testo biblico hanno poi nutrito le rappresentazioni che generazioni di cristiani si sono fatti di quei racconti. Il David, la Pietà, la conversione di Paolo,.... L'arte ha talora aggiunto dei messaggi che potevano indurre a immagini "definitive" che neanche la lettura dei testi originali riusciva a scalfire. Un esempio su tutti: la cosiddetta "Sacra Famiglia; ossia Gesù, Giuseppe e Maria secondo moltissime manifestazioni dell'iconografia artistica, male si concilia con i fratelli di Gesù" di cui ci parlano le versioni evangeliche neo-testamentarie.

     Il vantaggio che l'accostamento racconto biblico-arte permetteva era però notevole in quanto a livello mnemonico il richiamo al fatto narrato attraverso l'immagine risultava più immediato e duraturo. I cicli di immagini nelle chiese cristiane (la cosiddetta biblia pauperum) sono servite per secoli in questo lavoro di formazione religiosa.

     Quanto constatiamo oggi è, accanto ad una consapevolezza critica nella lettura biblica ben più diffusa ed apprezzabile che in passato, un'erosione sempre più rapida di queste conoscenze popolari e, soprattutto tra i giovani, un'ignoranza di cultura religiosa impressionante.

     La proposta scolastica dell'insegnamento di cultura religiosa (soprattutto elementare) mediata da audiovisivi e cartoni animati rischia molte volte di far scadere il racconto biblico a racconto infantile. Anche le edizioni di "Bibbie dei bambini" corrono spesso lo stesso rischio, quando, per semplicare, fanno scadere il racconto ad un livello meramente mitologico. Fortunatamente in commercio esistono anche opere ben fritte che permettono ai giovani fruitori di venire in contatto con i racconti biblici senza scadere in discutibili banalizzazioni (2).

     Al raggiungimento dell'età adolescenziale tutto viene messo in discussione. Anche le concezioni religiose devono affrontare questa revisione. Se durante l'infanzia, hanno prevalso delle rapprensentazioni 'fiabesche" dei racconti biblici, si corre il rischio che queste siano rifiutate in blocco. Al contrario, se già nella scuola elementare si è proceduto ad un approccio differenziato dei racconti biblici, ecco che il passaggio ad una visione "adulta" risulta facilitato.

Le domande a cui, a volte, mi trovo a dover rispondere, come insegnante di religione alle Medie e alle Superiori, sono, per esempio, queste: Mosè ha o meno aperto le acque del mar Rosso per permettere il passaggio degli israeliti? Adamo ed Eva sono dei personaggi storici? E ne potrei citare varie altre. Il dilemma che viene posto è il seguente: sono storia vera o fiabe per bambini? La lettura dei capitoli relativi alla fuga-uscita dall'Egitto non è facile. Sembra che a molti giovani (e adulti) manchino delle basilari conoscenze anche linguistiche per poter discernere le differenze dei generi letterari per un approccio critico al testo biblico.

     A questo punto molte persone credenti possono vivere un dilemma interiore "scienza fede" e non è raro trovare delle rappresentazioni-schizofreniche del rapporto tra Bibbia e mondo moderno, come se tra i due mondi non ci fosse continuità e il discorso biblico sia adeguato solo in campo ecclesiale e liturgico.

     L'opposto è invece rappresentato dalle letture che vogliono forzare la complessità del mondo e del mondo biblico facendo del puro letteralismo (su questo versante anche il creazionismo ha molti adepti). D'altra parte una lettura laicista riporta la Bibbia ad essere un testo fra i tanti e non tra i più originali.

     A mio avviso non si tratta di trovare dei capri espiatori di questa situazione che si sta cristallizzando, bensì individuare dei metodi didattici e formativi che permettano di proporre la Bibbia nelle diverse fasi della crescita e un approccio alla Bibbia che si avvalga di criteri "saggi" di lettura. Non è facile definire cosa siano "criteri saggi",  mi limito a indicare che il risultato della loro applicazione ci infonde un senso di umiltà quando ci troviamo di fronte alla pagina biblica, un sentimento di profondo rispetto. Per usare un bella immagine: dovremmo essere come Elia quando sente la presenza di Dio nella leggera brezza (1Re 19,13 parla letteralmente di "una voce di silenzio leggero").

     La riflessione proposta negli ultimi decenni dalla teologia narrativa ha cercato di delineare dei criteri per riprendere il racconto della "storia sacra" in modo da integrare anche ciò che le scienze dell'esegesi biblica hanno prodotto. Non solo un discorso specialistico o per pochi addetti ai lavori o appassionati ma una frequentazione "da dilettanti" che però vogliono "riempire il cuore", come dice il Concilio. Un autore italiano che ha saputo addentrarsi in questo argomento mantenendo però uno sguardo fisso alla divulgazione biblica è Brunetto Salvarani (cito solo il suo In principio era il racconto. Verso una teologia narrativa, EMI, Bologna 2004).

     Per usare uno slogan: molte volte nella Bibbia non troviamo spiegazioni ma narrazioni. E le narrazioni ci portano a pensare. A riflettere sulle problematiche della vita. Se la Bibbia diventa il ricettario dell'anima, il rischio è quello di farci manipolare solo dai nostri desideri e aspettative piuttosto che interrogarci e spingerci oltre nella conoscenza nostra, di Dio e degli uomini. Vediamo qualche esempio.

     In 2 Samuele 11 e 12 abbiamo la storia dell'adulterio di Davide con Betsabea. Limitarsi ad un giudizio moralistico sulle azioni di Davide non permette di cogliere il lato psicologico che il testo ci mette di fronte e che sviscera man mano che la vicenda si consuma.

     Le azioni dei personaggi tradiscono le loro intenzioni, i pensieri e le emozioni. Davide e Betsabea consumano una classica tresca amorosa: visione, frequentazione, desiderio e rapporti intimi. Uria stesso mostra con la propria condotta la propria dirittura morale.

     Quando sulla scena appare il profeta Natan (2 Sam 12,1-4), l'aspetto narrativo raggiunge il suo apice. La parabola che egli narra non è un monito al rispetto del Decalogo. L'ingiustizia del ricco allevatore di pecore che ruba e uccide l'unica pecora del vicino povero capta le emozioni di Davide. Il suo furore per l'ingiustizia commessa non è più revocabile, deve agire; allo svelamento del senso reale della storia, Davide non può più sottrarsi al proprio autogiudizio.

     Narrativamente il racconto è ben orchestrato e raggiunge lo scopo senza far ricadere su Natan l'accusa di adulterio perpetrato da Davide con Betsabea. La strategia retorica di Natan è ben nota, ciò non toglie che il racconto mantiene una sua freschezza. All'inizio del racconto la prepotenza di Davide disgusta, sembra che possa farla franca. La sua astuzia non è contrastata da nessuno. Natan è dunque abile nello spostare l'attenzione, di Davide e nostra, prima sulla storia e poi sul giudizio morale. E a noi lettori non resta che ammirarne la sottile trama.

     Un altro racconto ben orchestrato è quello del servo di Abramo, nella sua missione di ottenere da Betuel e Labano la mano di Rebecca quale sposa per Isacco (cfr. Genesi 24). Il racconto, oltre a porci di fronte gli usi e i costumi dei matrimoni combinati di allora, ci fa scoprire l'astuzia del servo di Abramo nel narrare la sua vicenda della ricerca di una sposa per il figlio del suo padrone. L'aver menzionato più volte la "provvidenzialità" dei fatti accaduti mette Betuel e Labano nell'impossibilità di rifiutare la richiesta di matrimonio. Se nella prima parte il racconto fila via liscio: giuramento da parte del servo, viaggio, preghiera al pozzo, arrivo di Rebecca, ... quando sta per incominciare il pasto serale, ecco che il servitore ci narra di nuovo tutta la storia. In un primo momento questo può sembrare un artificio ridondante tipico delle società arcaiche legate all'oralità dei contratti e delle relazioni. Il sentimento che però si fa strada in seguito è quello dell'attesa: dove vuole portarci il servo di Abramo? Poi, leggendo, diventiamo partecipi del suo iter argomentativo. Nasce in noi la simpatia per questo servo, i suoi sforzi, la sua fiducia che l'incarico affidatogli possa essere realizzato. Ci troviamo a "tifare" per lui.

     Se ci lasciamo coinvolgere troveremo nella Bibbia molti di questi esempi, sempre che ci disponiamo la lasciarci "compromettere" con la narrazione.

     Altro discorso dobbiamo fare, quando incrociamo le parole di testi come quelli sapienziali. Ci limitiamo a Qohèlet non per semplicità o brevità ma perché offre al lettore un itinerario di riflessioni sulla vita e su suoi aspetti, che possono confortarci, provocarci... (personalmente lo considero uno dei testi "più simpatici") (3).

     Ad una prima lettura il testo ci può indurre a pensare che l'autore sia un fatalista, disfattista, realista crudo, irriverente (tanto da far nascere la domanda perché mai sia considerato un libro "ispirato') verso la divinità e la creazione. Ciò che propongo è invece una lettura integrale, non rapida, ma che permetta al lettore di assaporare le «boutades" del saggio, collegarle con fatti della propria vita. A volte magari arrabbiarsi, compatirlo, ammirarlo. Sempre in questa tensione tra le sue esperienze e riflessioni e la propria vita. Una tensione necessaria, vista la nostra esperienza di uomini del XXI secolo, e questo testo, lontano nel tempo e nello spazio. Lo sforzo ermeneutico non sta solo nel capire quel messaggio, ma anche nel "tradurlo" fedelmente nella cultura di oggi. Chi è disposto a seguire tale cammino, troverà un amico che si confida tra alti e bassi. Saltare il faticoso cammino di ascoltare "l'amico Qohelet" e leggere solo il finale è mancare quanto di gustoso il testo ci offre come esperienza di specchio di riflessione su molti problemi dell'esistenza. Solo facendo la fatica intensa ed entusiasmante del lettore, potremo incamminarci verso quegli orizzonti ampi, che l'autore di Qohèlet pare indicare per vie a noi talvolta difficili da cogliere.

     Questi tre esempi primotestamentari servono ad accennare al potenziale che può sviluppare una lettura calma e attenta anche ai risvolti "emotivi" dei testi. Occorre riscoprire quanto il cuore sia la sede di emozioni, pensieri e volizioni e quanto, nutrito dai racconti, possa crescere e umanizzarsi.

     Non è l'invito ad una lettura selvaggia dei testi. Accompagnati da commentari e strumenti seri si può affrontare fruttuosamente una lettura impegnativa come quella biblica. Se poi questo viene fatto in gruppo, ecco che la discussione ci potrà portare ad uno scambio culturale e spirituale fecondo con altri. «Dio fa le cose e le racconta, le racconta e le fa essere. Qualche volta l'uomo crede che anche a lui ciò sia possibile: invece egli deve trovare le parole (e solo le parole) con fatica altrimenti questo senso non viene fuori»(4).

     A chi ha seguito il mio discorso sin qui: buona e gustosa lettura!

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1) Per suggerire alcuni temi rinvio al testo di G. Ravasi, Qohelet e le sette malattie dell'anima, Qiqajon, Magnago (BI) 2005.

2) Quanto viene realizzato, da alcuni anni a questa parte, in particolare dalle case editrici italiane Claudiana, EDB e Paoline editoriale libri è, spesso, di notevole rilievo formativo ed informativo
3) Per suggerire alcuni temi rinvio al testo di G. Ravasi, Quohelet e le sette malattie dell'anima, Qiqajon, Magnago (BI) 2005.

4) P. De Benedetti, Il settantunesimo senso, in CIO' CHE TARDA AVVERRÀ, Qiqajon, Magnago (BI) 1992, p. 16.

 

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di Cleto Rizzi

 

«Con la lettura e lo studio dei Sacri Libri "la parola di Dio si diffonda e sia glorificata" (2 Ts 3,1), e il tesoro della rivelazione, affidato alla Chiesa, riempia sempre più il cuore degli uomini»(1). In tempi di rivisitazione dei testi del Vaticano II questo stralcio dell'epilogo del documento conciliare mi sembra profetico.

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