Presentazione Marco-nuova traduzione

Marco. Nuova traduzione ecumenica commentata

(di Patrizio Rota Scalabrini)

Ci troviamo a presentare quest’opera curata da E. Borghi, che si presenta come una nuova traduzione ecumenica del vangelo di Marco. È nostra intenzione chiarire innanzitutto alcuni termini che potranno chiarire il senso di questa impresa letteraria. Anzitutto prenderemo in considerazione il concetto di traduzione; in secondo luogo la motivazione di una nuova e ulteriore traduzione del testo marciano; infine la qualifica di “ecumenica”.

1. Tradurre per non tradire

Chiariamo innanzitutto che cosa significa il termine ‘tradurre’. L’etimologia lo riconduce al latino ducere e ciò significa che si tratta di far passare, di condurre da un testo ad un altro. D’altra parte ducere significa anche ‘indurre’, ‘produrre’; in questa accezione la traduzione non solo traghetta da un testo in una lingua ad un altro in lingua diversa, ma introduce nuovi significati, produce sensi nuovi. La valutazione di questa novità può portare appunto all’idea di un tradimento del senso originario e di un’operazione di seduzione nei confronti del lettore. Ecco perché la traduzione viene chiamata con iroia da Georges Mounin “la bella infedele”.

Il sinonimo di ‘traduzione’, in italiano è ‘versione’, che deriva dal latino vertere evocante una conversione delle parole e dei loro significati da un sistema linguistico ad un altro; ma anche qui vi può essere un’impropria (e sottolineiamo impropria) accezione decettiva, per cui si introduce un’idea di perversione, di sovversione o inversione del significato originario.

In questa direzione ci piace citare l’opinione celebre di Miguel Cervantes: «Ma con tutto ciò, mi pare che il tradurre da una lingua a un’altra… sia come uno che guarda gli arazzi fiamminghi dal rovescio; benché vi si vedano le figure, son piene di fili che le ombrano, e non si vedono con quella superficie così eguale del diritto» (Don Chisciotte della Mancha, II, 6 ).

Se si insiste sul versante negativo dell’infedeltà o perversione del senso, ecco allora l’adagio comune per cui il traduttore è traditore. Se da una parte il detto ha il pregio di essere un

antidoto contro un ottimismo ingenuo ed eccessivo nei confronti del tradurre, d’altra parte è a sua volte illusorio, perché perpetua l’idea che si possa accedere al senso del testo senza mediazioni.

Ora, questo non è possibile ed è palesemente falso perché, pur rimanendo il lettore nello stesso sistema linguistico, la lingua cambia piuttosto velocemente e inoltre cambia il contesto di lettura, la comunità di lettura. Vi è quindi un’implicita operazione di traduzione nelle categorie del lettore anche quando si legge il testo originale. È questo fatto che motiva la stessa necessità della traduzione come un processo continuo di revisione della propria comprensione del testo.

2. Perché una nuova traduzione?

La risposta è che la necessità di una traduzione della Scrittura suppone innanzitutto un’idea precisa di rivelazione. Questa la si può ben evidenziare in antifrasi con l’idea di rivelazione coranica. Infatti il Corano è ufficialmente qualificato come intraducibile, in quanto la lingua araba è come la ‘carne’ della parola di Dio comunicata all’umanità. Per il pensiero biblico, invece, la Scrittura non è come tale rivelazione, se non nella misura in cui ne è l’attestazione scritta. Infatti l’evento della rivelazione eccede la parola (non solo scritta, ma anche parlata), in quanto è l’autocomunicazione della vita di Dio stesso all’umanità, autocomunicazione compiutasi in Cristo Gesù. Non ci può quindi essere una fissazione sulla lingua originale, come se questa fosse un tutt’uno con la rivelazione.

Questa concezione di rivelazione influenza anche il modo di avvicinarsi al testo scritto. Al lettore della Bibbia non basta la recita del testo, perché la Scrittura stessa chiede un atto di comprensione e non una semplice melopea. Basterebbe ricordare qui quanto asserisce il frontespizio del Deuteronomio, che si presenta come una ripresa della proposta della Legge, ma ripresa che tenta un approfondimento, uno scavo che, giungendo al senso profondo del messaggio comunicato, operi una sorta di ‘incisione’ del cuore. Infatti Dt 1,5 si potrebbe leggere così: “Mosè cominciò a spiegare/scavare questa legge…”.

La stessa Scrittura, specie nella forma della Bibbia cristiana, mostra una pluralità di codici linguistici: greco, aramaico, ebraico; peraltro va ricordato che quest’ultima lingua si

distende sull’arco di vari secoli, con le inevitabili variazioni del codice. Possiamo dire allora che la Bibbia si presenta, già in se stessa, come uno scritto eminentemente traducibile. Vi sono state traduzioni fin da quando la Bibbia era ancora in formazione, e questo è appunto il caso della LXX.

La necessità della traduzione, poi, diventa ancora più evidente di fronte al compito missionario, che il Nuovo Testamento affida ai discepoli di Gesù, per cui l’accesso alla Scrittura non può essere semplicemente un momento privato per la propria salvezza personale, ma piuttosto la fonte da cui procede ogni testimonianza e missione. Tradurre è uno degli aspetti del tentativo di essere fedeli a tale compito, proprio come dice Paolo: «Annunciare il Vangelo non è per me un vanto, perché è una necessità che mi si impone: guai a me se non annuncio il Vangelo! Se lo faccio di mia iniziativa, ho diritto alla ricompensa; ma se non lo faccio di mia iniziativa, è un incarico che mi è stato affidato» (1Cor 9,16-17).

Alla luce di tutte queste considerazioni l’impresa di una nuova traduzione di Marco risulta giustificata e non comporta necessariamente un giudizio di squalifica delle altre traduzioni, che hanno indubbi meriti (sempre comunque con qualche pecca…). Che la scelta di una nuova traduzione ecumenica abbia preso l’avvio con il vangelo di Marco è ben comprensibile, data la natura essenziale di questo scritto e il suo essere stato l’inizio del genere letterario del “vangelo”.

3. Tipologia di traduzione: la scelta della presente opera

Una traduzione suppone sempre delle scelte teoriche di fondo. Se si assume la teoria che il senso del testo sta nell’intenzione dell’autore, inevitabilmente la traduzione si presenta come desiderosa di riprodurre il testo originale. In questo lavoro aiuta molto il metodo storico-critico, che non è certamente estraneo a quest’opera. Basti un esempio: la valutazione di Mc 4,10-20 come inserzione redazionale dell’evangelista nel discorso parabolico.

Sul fronte opposto vi è la posizione di chi preferisce essere fedele alla pragmatica del testo, più che all’originale. In altre parole si cerca di riprodurre un effetto analogo, che non sempre corrisponde ad una traduzione più letterale.

L’impresa dei traduttori si muove tra due scelte: avvicinare il lettore al testo-fonte, o avvicinare il testo al lettore e perciò al suo scopo, al suo bersaglio, decide del profilo di massima scelto. Ricordiamo qui, ad esempio, un’opzione ben precisa come quella della Bibbia Interconfessionale in lingua corrente. Certo, il contrasto tra i partigiani della traduzione letterale e di quella dinamica, detta alla francese tra i sourciers (fontalisti) e i ciblistes (bersaglisti) sembra ad oggi abbastanza incomponibile.

La scelta della presente traduzione ecumenica si muove nella prima direzione: «La traduzione del testo è attenta essenzialmente a rendere, nel modo più rispettoso ed efficace possibile, quello che il testo in lingua greca trasmette, senza preoccupazioni religiose o culturali aggiuntive rispetto al rapporto tra il testo e chi lo legge» (p. 16).

4. Perché una traduzione ecumenica e perché un commento al testo biblico?

Il movimento ecumenico crea un clima favorevole di dialogo, ma soprattutto sollecita ad un comune riferimento alla Scrittura come norma fidei. È grazie al movimento ecumenico che è diventato possibile oggi lavorare insieme per tradurre il testo biblico e commentarlo o annotarlo insieme. L’impresa è oggi pienamente giustificata e soprattutto sollecitata dalla necessità di una comune testimonianza. È infatti noto il disagio di molti quando si trovano in mano Bibbie connotate confessionalmente, mentre essi vorrebbero avvicinarsi alla Sacra Scrittura liberi da precomprensioni confessionali. Ebbene, una traduzione ecumenica può venire incontro a questa esigenza, senza con ciò svalutare le traduzioni attualmente in uso. L’ideale perseguito non è l’appiattimento delle differenze, ma piuttosto la condivisione delle ricchezze, delle sensibilità diverse, riconducibili non solo a tratti personali, ma anche ad un diverso contesto comunitario.

L’opera che stiamo presentando non si limita ad offrire una traduzione, ma propone anche un commento (ecumenico). Tutto ciò potrebbe sollevare un problema: è davvero necessario spiegare la Bibbia? Non è una banale domanda retorica, ma una questione che tocca un tema molto dibattuto. Vi è infatti chi pensa che, essendo la Bibbia parola di Dio,
(cliccare qui per continuare a leggere)