Eucaristia: 3 gennaio 2021

seconda domenica dopo Natale

«La Parola si è fatta carne e ha rizzato la sua tenda in mezzo a noi» (Gv 1,14)

La liturgia di oggi si apre con un’antifona che riprende una frase del libro della Sapienza:
Nel quieto silenzio che avvolgeva ogni cosa,
e mentre la notte giungeva a metà del suo corso,
la tua parola onnipotente, o Signore,
è scesa dai cieli, dal trono regale. (Sap 18,14-15a)

Prima lettura

La prima lettura è una pagina del libro del Siràcide, un saggio che si chiamava “Gesù figlio di Sirac”. Quest’uomo, per aiutare i giovani di Gerusalemme, scrisse il suo libro in ebraico. Poi, verso l’anno 132, suo nipote, che viveva in Egitto, ha voluto dedicarsi a tradurre – e sono parole sue – quanto aveva scritto « mio nonno Gesù» (Prologo, v. 7).

Nella prima parte di questo libro l’autore mostra il ruolo della sapienza nella vita del saggio: la sapienza che è maestra di discernimento, la sapienza che ci guida nelle nostre relazioni con i vicini e nella nostra profonda relazione con Dio. Poi, terminando questa prima parte del libro, il Siracide dà la parola alla sapienza stessa. Qui, come ascolteremo tra un attimo, la sapienza menziona la sua origine in Dio e la sua presenza e la sua azione nel mondo[1]: «Prima dei secoli, fin dal principio, egli mi ha creata, e per tutta l’eternità non verrò meno» (v. 14).

Sì, la sapienza, creata da Dio fin dal principio, ha vissuto un’esperienza eccezionale: « il creatore dell’universo mi diede un ordine, colui che mi ha creata ha fatto riposare la mia tenda e mi disse: “Fissa la tenda in Giacobbe e in Israele sia la tua eredità» (vv. 12-13). Qui la cooperazione tra Dio e la sapienza è espressa con la massima intensità: Dio ordina alla sapienza di fissare la tenda in Israele e, nello stesso tempo, è Dio stesso che fa riposare la tenda della sapienza. E, nel seguito della narrazione la sapienza dichiara di aver reso servizio «nella tenda santa, davanti a lui». E qui la formulazione «tenda santa» fa ovviamente riferimento al tempio di Gerusalemme: lì, la sapienza – oltre a far germogliare e fruttificare la saggezza di Israele – svolge funzioni liturgiche.


Dal libro del Siràcide (24,1-4. 12-16 secondo la numerazione della Volgata)

1 La sapienza fa il proprio elogio,

in Dio trova il proprio vanto,

in mezzo al suo popolo proclama la sua gloria.

2 Nell’assemblea dell’Altissimo apre la bocca,

dinanzi alle sue schiere proclama la sua gloria,

3 in mezzo al suo popolo viene esaltata,

nella santa assemblea viene ammirata,

4 nella moltitudine degli eletti trova la sua lode

e tra i benedetti è benedetta, mentre dice:

12 «Allora il creatore dell’universo mi diede un ordine,

colui che mi ha creata ha fatto riposare la mia tenda

13 e mi disse: “Fissa la tenda in Giacobbe

e in Israele sia la tua eredità,

affonda le tue radici tra i miei eletti” ».

14 Prima dei secoli, fin dal principio, egli mi ha creata,

e per tutta l’eternità non verrò meno.

Nella tenda santa, davanti a lui ho reso servizio

15 e così mi sono stabilita in Sion.

Nella città amata mi ha fatto abitare

e in Gerusalemme è la mia autorità.

16 Ho posto le radici in mezzo a un popolo glorioso,

nella porzione del Signore, sua eredità,

nell’assemblea dei santi ho preso dimora».

 

Salmo

Il salmo 147 è stato probabilmente composto verso la fine del quinto secolo prima della nascita di Gesù[2]. E’ l’epoca durante la quale Gerusalemme, un secolo dopo la fine dell’esilio a Babilonia, conosce un movimento di ricostruzione a livello dell’edilizia e soprattutto del tessuto sociale. Ma il nostro salmo considera la ricostruzione in corso come il risultato dell’intervento di Dio stesso.

Il salmo si compone di tre parti. La prima (vv. 1-6) ci invita a cantare a Dio perché egli ricostruisce Gerusalemme, raduna gli esiliati e « risana i cuori affranti ». L’onnipotenza di Dio si attiva nel cielo, fino alle stelle, ma anche sulla terra, nella società.

La seconda parte (vv. 7-11) invita a cantare a Dio perché egli agisce nella creazione attraverso i cicli della natura, dando la pioggia che permette ai vegetali di germogliare di nuovo. Dio si prende cura del nutrimento per gli animali e anche per i piccoli uccelli, letteralmente i « figli » del corvo che gridano la loro fame e « chiamano ». Se Dio si prende cura delle piccole creature, a maggior ragione si prende cura degli uomini e delle donne che lo invocano, di coloro « che lo rispettano e mettono la loro speranza nel suo amore » (v. 11).

Della terza parte (vv. 12-20), leggeremo tre strofe.

* La prima è ancora un’esortazione a lodare Dio. Ma questa volta l’esortazione è rivolta direttamente a Gerusalemme. E la città è presentata come una donna e gli abitanti come i suoi « figli » (v. 13) i figli che lei ha generato e che vivono nella sua intimità. E Dio? Dio è colui che protegge questa donna e i suoi figli. Dio è il Dio di questa donna e mamma. Egli è – così dice il poeta – « il tuo Dio », « il tuo Elohim ».

* Nella seconda strofa, Dio è colui che vuole la tua pace e che assicura il tuo nutrimento attraverso il susseguirsi delle stagioni: l’estate e l’inverno. Ma Dio non si limita a nutrire la sua famiglia amata ma, a tutta la terra, Dio manda anche la sua parola. E il poeta ci dice : « veloce corre la sua parola » (v 15).

* Infine l’ultima strofa. Dopo aver sottolineato il ruolo della parola a livello della natura e della terra, il poeta evoca « le sue parole » (v. 19) al plurale, le parole che Dio ha rivolto al popolo d’Israele. E scegliendo Israele tra i popoli, Dio permette a Israele e agli altri popoli di conoscere e di mettere in atto « le sue norme di diritto ». Ed è così che ci sarà la pace e che Dio sarà veramente glorificato nel mondo[3].

Quanto a noi, questa mattina, le parole del salmo ci ricordano in particolare un « figlio » di Gerusalemme, Gesù. Infatti è attraverso di lui che Dio vuole stabilire la pace nel mondo. E’ lui il « fiore di frumento » che ci sazia adesso e per sempre[4]. Da qui il nostro ritornello, alla fine di ogni strofa:

            Celebra il Signore, Gerusalemme,

egli è il principe della pace e il frumento che ci sazia.

           

Salmo 147 (versi 12-13, 14-15, 19-20)

12 Celebra il Signore, Gerusalemme,

loda il tuo Dio, Sion,

13 perché ha rinforzato le sbarre delle tue porte,

ha benedetto i tuoi figli nella tua intimità.

Celebra il Signore, Gerusalemme,

egli è il principe della pace e il frumento che ci sazia.

 

14 E’ lui che ha messo pace ai tuoi confini

e ti sazia con fiore di frumento.

15 E’ lui che manda sulla terra il suo messaggio:

veloce corre la sua parola.

            Celebra il Signore, Gerusalemme,

egli è il principe della pace e il frumento che ci sazia.

 

19 Il Signore annuncia a Giacobbe le sue parole,

i suoi decreti e le sue norme a Israele.

20 Non ha fatto così con nessun’altra nazione,

a loro non ha fatto conoscere le sue norme di diritto.

            Celebra il Signore, Gerusalemme,

egli è il principe della pace e il frumento che ci sazia.



Seconda lettura

La pagina della lettera ai cristiani di Efeso, pagina della quale ascolteremo due brevi passi, è un vero regalo. È una preghiera che l’autore compone pensando all’intera storia del mondo, addirittura fin da « prima della creazione del mondo ». Infatti, prima che colui che è « Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo » avesse a creare ogni cosa, aveva già pensato a noi e ci aveva « benedetto con ogni benedizione, in Cristo ». Infatti, con un atto di amore ci ha scelto « per essere santi », cioè, per diventare « figli – per lui – mediante Gesù », il figlio per eccellenza.

Questo progetto Dio l’ha già realizzato in Maria e ora – lo sentiremo leggere tra un attimo – lo realizza in noi. Ed è un progetto del quale possiamo fidarci nonostante tutte le nostre fragilità. Infatti è Dio stesso a realizzarlo, Dio che, dice l’apostolo nella stessa lettera, «tutto opera» (1,11).

 

Dalla lettera agli Efesini (1,3-6 e 15-18)

3 Benedetto il Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo,

che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo.

4 In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo

per essere santi e immacolati di fronte a lui nell’amore,

5 predestinandoci a essere figli – per lui – mediante Gesù Cristo,

secondo il disegno d’amore della sua volontà,

6 a lode dello splendore della sua grazia,

di cui ci ha gratificati nel Figlio amato.

15 Perciò anch’io [Paolo], avendo avuto notizia della vostra fede nel Signore Gesù e dell’amore che avete verso tutti i santi, 16 continuamente rendo grazie per voi ricordandovi nelle mie preghiere, 17 affinché il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui; 18 illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi.

Vangelo

Il Vangelo di Giovanni si apre con una pagina che ci dà l’identità di Gesù. Gesù è « la Parola », la Parola che era – fin dall’inizio – « rivolta verso Dio » in una tensione d’amore verso Dio[5].

Dopo questa osservazione su « In principio », un inizio assoluto che per noi è inimmaginabile (vv. 1-2), il Vangelo ci parla della creazione e della storia. Tutta la creazione avviene grazie alla Parola e « nulla è venuto all’esistenza senza di essa » (v. 3). La Parola è portatrice di vita, una vita che è luce per gli umani, una vita che – come la luce nelle tenebre – può orientarci. La Parola, ci dice il Vangelo, « La Parola è la vera luce, essa che – venendo nel mondo – illumina tutti gli esseri umani» (v. 9). E, se noi accogliamo questa Parola, se noi mettiamo in lei la nostra fiducia, noi diventiamo figli e figlie di Dio, noi nasciamo da Dio (vv. 12-13).

Ma come accogliere questa Parola ? Accoglierla è possibile perché la Parola, lei che è – da sempre – in intimità con Dio, è diventata carne e fragilità, ha rizzato la sua tenda tra noi condividendo la nostra condizione provvisoria e instabile in questo mondo. In questa persona fragile e solidale, in questo Figlio unico e pieno d’amore, noi possiamo scoprire e contemplare la gloria del Padre, la presenza del Padre al nostro fianco. Infatti, ci dice l’evangelista alla fine di questa pagina così ricca, « Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unico, che è Dio e che vive nella piena intimità del Padre, è lui che lo ha svelato».

E questa mattina, questo nuovo nato nelle braccia di Maria ci svela il volto di Dio, ce lo svela condividendo la nostra condizione di debolezza, debolezza che è la nostra, dalla nascita e durante tutto il corso della nostra vita. Ecco come noi possiamo conoscerlo e riconoscerlo ; ecco come possiamo evitare l’attitudine del « mondo », cioè l’attitudine di coloro che rifiutano di riconoscerlo[6] e si ripiegano su loro stessi. Lasciamoci prendere da questo Figlio di Maria, colui che ha voluto condividere la nostra fragilità e arricchirci della sua pienezza[7].

Dal Vangelo secondo Giovanni (1,1-18)

1 In principio era la Parola, e la Parola era rivolta verso Dio e la Parola era Dio. 2 Essa era, in principio, rivolta verso Dio.

3 Tutto è venuto all’esistenza per mezzo di essa e nulla è venuto all’esistenza senza di essa. 4 In essa era la vita e la vita era la luce per gli esseri umani; 5 la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno accolta.

6 Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. 7 Egli venne come testimone per rendere testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. 8 Egli non era la luce, ma doveva rendere testimonianza alla luce.

9 La Parola è la vera luce, essa che – venendo nel mondo – illumina tutti gli esseri umani. 10 La Parola era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di essa; eppure il mondo non l’ha riconosciuta. 11 Essa venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolta. 12 A quanti però l’hanno accolta, a quanti credono nel suo nome, ha dato il potere di diventare figli di Dio. 13 Ed essi sono diventati figli di Dio nascendo non per la volontà di un uomo e di una donna, ma per volontà di Dio.

14 E la Parola si è fatta carne e ha rizzato la sua tenda in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria. Questa gloria, essa la riceve dal Padre: è la gloria del Figlio unico, pieno di amore e di fedeltà.

15 Giovanni gli dà testimonianza. Egli proclama: « Era di lui che ho detto: “Colui che viene dietro di me è davanti a me, perché prima di me egli era” ».

16 Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia. 17 Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, l’amore e la fedeltà vennero per mezzo di Gesù Cristo. 18 Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unico, che è Dio e che vive nella piena intimità del Padre, è lui che lo ha svelato.
 

Preghiera iniziale

La tua parola è in mezzo a noi.

Nessuno ti ha mai visto,

Dio nascosto.

Ma tu ti sei fatto conoscere

in un uomo; Gesù Cristo.

E la tua parola ha preso dimora in mezzo a noi

e ha parlato in un linguaggio umano.

 

Dio, noi crediamo

che oggi tu non vuoi essere lontano:

tu vuoi comunicare te stesso a noi

attraverso le nostre parole.

Tu ti affidi alle nostre mani.

Concedi a noi di vivere insieme

nello spirito di Gesù, tuo Figlio[8].

(Frans Cromphout, gesuita, Amsterdam: 1924-2003)

 

Preghiera dei fedeli

* Il libro del Siracide ci ha parlato della Sapienza, la Sapienza che tu, o Dio, hai voluto che rizzasse la sua tenda in mezzo alla gente, e affondasse le sue radici tra i tuoi « eletti », o Signore. E, ascoltando queste parole, non possiamo che pensare al tuo Figlio, lui che ha condiviso la nostra tenda fragile e instabile, lui che ha affondato le sue radici, definitivamente, nella nostra umanità. A te, nostro Padre, il nostro più vivo grazie. E tu aiutaci a sentire, di giorno in giorno, la vicinanza del tuo Figlio, lui che è la nostra vera sapienza.

* Il salmo ci ha parlato di Dio che mette pace tra di noi, ci « sazia con fiore di frumento » e « manda sulla terra il suo messaggio ». E tutto ciò lo possiamo vedere in Gesù: lui ci dona la pace, ci sazia con il « fiore del frumento », cioè il pane dell’eucaristia, e ci rivolge la sua parola ogni giorno. Che, rafforzati da questo « fiore di frumento», possiamo rispondere mettendo in pratica la sua parola. Così la pace prenderà corpo nei nostri quartieri.

* La Lettera agli Efesini ci parla, o Signore Dio, del tuo « disegno d’amore »: tu ci hai scelti « per essere santi e immacolati » di fronte a te nell’amore. E così hai voluto fare – di ciascuna e ciascuno di noi – una sorella o un fratello di Gesù, tuo Figlio. Perciò, o Padre, noi siamo diventati tuoi figli, tue figlie. Aiutaci, o Padre, a vivere – giorno dopo giorno – questa relazione d’amore filiale verso di te.

* Gesù, noi che siamo tue sorelle e tuoi fratelli, non possiamo che dirti la nostra sorpresa davanti alla tua scelta, quella di aver rizzato la tua tenda in mezzo a noi, condividendo la nostra fragilità, la nostra debolezza, la solitudine che spesso caratterizza la nostra vita e che ci accompagna fino alla morte. Che di questa tua vicinanza noi sappiamo prendere coscienza. E’ grazie ad essa che possiamo affrontare il futuro, questo nuovo anno, con fiducia.

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[1] Si tratta del capitolo 24, nei versi 1-2 e 8-12 secondo il testo greco. Rispetto al testo greco la liturgia ci propone, in italiano, una traduzione che conserva anche le aggiunte che Gerolamo, nel quarto / quinto socolo, ha inserito traducendo il testo in latino. Nella versione liturgica la numerazione dei versi corrisponde a quella della versione latina. Rispetto al testo greco le aggiunte sono soprattutto i versi 3-4 e la finale dei versi 13 e 16.

[2] Per questo salmo, cf. E. Zenger, Psalm 147, in F.-L. Hossfeld – E. Zenger, Psalmen 101-150, Herder, Freiburg – Basel – Wien, 2008, p. 824ss.

[3] Ibid., p. 835.

[4] Cf. M. Girard, Les psaumes redécouverts. De la structure au sens (Ps 101-150), Bellarmin, Montréal, 1994, p. 523.

[5] Cf. J. Mateos – J. Barreto, Il vangelo di Giovanni. Analisi linguistica e commento esegetico, Cittadella, Assisi, 1982, p. 37.

[6] Il verbo greco utilizzato nel v. 10 evoca un’attitudine a livello della conoscenza e anche del comportamento concreto: « conoscere » e « riconoscere ». Cf. J. Zumstein, L’Évangile selon saint Jean (1-12), Labor et fides, Genève, 2014, p. 63.

[7] Il Vangelo sottolinea il cambiamento che il Figlio compie in noi tutti: noi partecipiamo alla « pienezza » (v. 16) del Figlio, il Figlio che è « pieno » (v. 14) di amore e di fedeltà. (cf. R. Schnackenburg, Il vangelo di Giovanni. Parte prima, Paideia, Brescia, 1973, p. 348). In più, « amore e fedeltà », che caratterizzano la conditzione del Figlio (v. 14), sono anche il dono che i credenti ricevono attraverso Gesù (v. 17).

[8] F. Cromphout, Un temps pour parler, Éditions Foyer Notre-Dame, Bruxelles, 1970, p. 45.