Quaresima 2021
(prima settimana)

LETTURE BIBLICHE E CORANICHE

 

Riflettere e prendere cura della parola di Dio

 

La parola “quaresima”, “quadragesima” in latino, significa « il quarantesimo giorno » prima della Pasqua. E il numero quaranta ci ricorda i « quaranta giorni » che, appena dopo il suo battesimo, Gesù ha vissuto nel deserto dopo aver ascoltato la parola di Dio che gli diceva : «Tu, tu sei il mio Figlio, l’amato. In te ho riposto il mio amore» (Mc 1,11). Questi quaranta giorni li possiamo interpretare come i giorni nei quali Gesù riflette sulla sua esperienza vissuta al momento del battesimo e che lo prepara alla sua missione tra la gente.

Quanto a me, durante questi quaranta giorni di quaresima voglio leggere con te, mio amico, mia cara, alcune pagine di un saggio ebreo detto «Siracide» o – più letteralmente – «Gesù figlio di Sirac». E di questo libro che si legge raramente, leggerò – anche senza andare nel deserto – dei brani nei quali lo scrittore parla di «riflessione» e utilizza il verbo «riflettere».

E, per questa prima settimana, ho davanti agli occhi una pagina del capitolo 6, una pagina che si può intitolare «Fardello e ricompensa della ricerca della sapienza»[1]. In questa pagina, l’autore, un saggio, un umushingantahe ebreo, si rivolge ai giovani di Gerusalemme e li interpella tre volte (nei versi 18.23.32) con il termine molto familiare «figlio». La prima volta (vv. 18-22), egli invita questo «figlio» a impegnarsi per coltivare e ottenere l’educazione. Nella seconda sezione (vv. 23-31), l’autore utilizza delle immagini per evocare l’attaccamento alla sapienza: la sapienza  è come un fardello che si trasforma in gioia. Infine, nella terza (vv. 32-37), l’autore dà al giovane «figlio» dei consigli per acquistare la sapienza: egli menziona i luoghi e le relazioni con le persone che possono aiutarci ad imparare la sapienza e saggezza. In questa pagina i consigli sono espressi con sei imperativi. Ma, nell’ultima frase, l’autore aggiunge un imperativo che non concerne più la sapienza  bensì i «precetti del Signore». Infatti, nella traduzione greca[2] si può leggere:

«Rifletti sui precetti del Signore,

e dei suoi comandamenti prenditi cura costantemente;

lui stesso rafforzerà il tuo cuore

e la sapienza che tu desideri ti sarà data da lui» (Si 6,37).

 

Questo versetto si apre con due imperativi. Innanzitutto il verbo «riflettere» che ritroveremo anche nelle letture delle prossime settimane. Poi c’è l’espressione «prendersi cura» che l’autore utilizzerà ancora in 14,20 nella formulazione «prendersi cura della sapienza». Nel nostro testo, il Siracide ci dice di prenderci cura, sempre, dei comandamenti di Dio. E, se noi ci mettiamo all’ascolto della sua parola e se la mettiamo in pratica[3], Dio risponderà al nostro impegno: le sue azioni ci prenderanno totalmente[4]: Dio ci renderà solidi, intimamente, nel nostro cuore, e ci donerà la sapienza.

Il riferimento ai precetti del Signore e ai suoi comandamenti mi ricorda le affermazioni del Corano:      «90Dio comanda la giustizia, la bontà e la generosità verso i parenti e proibisce la          dissolutezza, il male e la prepotenza. Egli vi esorta per portarvi a riflettere. 91 Osservate gli impegni assunti davanti a Dio e non violate i giuramenti solenni che avete fatto, perché è         Dio stesso che avete preso come vostro garante, e Dio sa ciò che fate» (Sura 16,90-91).

 

Questi versetti del Corano ci aiutano a comprendere i termini precetti e comandamenti del Siracide. I precetti concernono la giustizia, la bontà, la generosità nei confronti degli altri. In più, come nel Siracide, il Corano sottolinea la connessione tra riflettere e agire. E comportandoci così, mettendo in pratica i precetti del Signore, noi potremo constatare la vicinanza di Dio, la forza che egli ci dona, interiormente o, per usare le parole del Siracide, rafforzando il nostro cuore.

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[1] Così J. Marböck, Jesus Sirach 1-23, Herder, Freiburg – Basel – Wien, 2010, p. 116. A questo commento io devo anche alcune mie osservazioni su questa pagina del Siracide.

[2] Gesù figlio di Sirach ha scritto il suo testo in ebraico ma questo testo ci è stato conservato solo in parte. Più tardi, verso l’anno 132 a.C, il nipote dello scirttore ha tradotto in greco il testo del “nonno” (Cf. Prologo alla traduzione del Siracide, v. 7).

[3] L’Antico Testamento. Siracide con testo e note di commento a cura di G. Vigini, Paoline, Milano, 2007, p. 46.

[4] Nel testo greco di questo versetto, le linee 3 e 4 hanno una struttura molto curata: infatti le azioni di Dio sono menzionate all’inizio e alla fine della frase, e inglobano completamente il nostro cuore e il nostro desiderio. Cf. The Wisdom of Ben Sira : a New Translation with Notes by P. W. Skehan, Introduction and Commentary by A. A. Di Lella (The Anchor Bible vol. 39), Doubleday, New York, 1987, p. 196.