Ramadan 2022: quarta settimana

« Saremo noi gli aiutanti di Dio » (Sura 3,52)

 

            Siamo all’ultima settimana di Ramadan. E, durante questa settimana, voglio leggere una piccola sezione della Sura 3, la Sura della quale, durante la prima settimana di quaresima, abbiamo già letto i versi 45 e 59-60. Tornando su questa Sura, durante questa settimana voglio leggere con te i versi 50-53, una sezione nella quale Gesù parla della sua missione[1]. Ecco innanzitutto una traduzione di questi versi.

50 « Io sono venuto a confermare ciò che è prima di me nella Torah e a dichiararvi lecite alcune cose che vi erano state proibite.

Sono venuto a voi con un segno del vostro Signore. Rispettate dunque profondamente Dio e ubbiditemi. 51 In verità, Dio è il mio Signore e il vostro. Adoratelo, dunque! È un retto sentiero».

52 Quando Gesù si accorse che [gli Ebrei] non credevano, disse: « Chi saranno i miei aiutanti [nel cammino che porta] a Dio? » E gli apostoli risposero: « Saremo noi gli aiutanti di Dio. Noi crediamo in Dio. E tu sii testimone che alla sua volontà ci siamo sottomessi! Signore, noi crediamo a ciò che hai rivelato e seguiamo il tuo messaggero. Iscrivici fra i testimoni » (Sura 3,50-53).

            Nel verso 50 Gesù si presenta nella sua relazione alla Torah, cioè l’Istruzione che Dio ha dato attraverso Mosè. La Torah è « prima di me » (mâ bayna yadayya in arabo), letteralmente « ciò che è tra le mie due mani », « ciò che è davanti a me ». E questa espressione potrebbe evocare la situazione di Gesù come maestro che insegna – nella sinagoga – il Libro della Legge, dell’Istruzione data a Mosè, il libro aperto davanti a lui, dicendo ai suoi discepoli: io non faccio che confermare la Torah che è qui, posta davanti a me[2].

I          l verso 50 evoca poi alcune cose che agli Ebrei « erano state proibite », dunque certi divieti. Infatti bisogna sapere che – per gli Ebrei – le cose illecite erano numerose al punto che spesso la religione si riduceva all’osservanza di riti, quindi al formalismo. La maggior parte di queste norme erano quelle che i rabbini avevano istituito – per motivi diversi e in circostanze diverse – attribuendole a Mosè[3]. In questa situazione Gesù reagisce: egli conferma la Torah; dunque, l’Istruzione data da Dio a Mosè. Ma Gesù toglie anche le proibizioni che non hanno alcun fondamento nella Parola di Dio.

            Poi, nel verso 52, Gesù constata che gli Israeliti, verso i quali egli era stato mandato, negavano la sua funzione profetica; essi qualificavano le sue parole come menzogna e si allontanavano dal suo invito a rispettare Dio e a credere in Dio. E, davanti a questa constatazione, Gesù si chiede: « Chi saranno i miei aiutanti [nel cammino che porta] a Dio? »[4]. Chi saranno coloro che, con Dio, mi aiuteranno davanti a coloro che trattano gli argomenti di Dio come menzogne, si allontanano dalla sua religione e negano la profezia dei suoi profeti?

            Davanti a questa domanda i discepoli dichiarano la loro disponibilità, insistendo su tre attitudini: la loro sottomissione a Dio, la loro fede, la loro volontà di essere testimoni[5] della parola di Dio.

            Questi versi del Corano mi ricordano il testo più antico di tutto il Nuovo Testamento, la Prima lettera di Paolo ai cristiani di Tessalonica.

            È l’anno 50 quando l’apostolo Paolo, insieme a Silvano e Timoteo, lascia l’Asia Minore e decide – grazie a un messaggio di Dio[6] – di entrare nella provincia romana della Macedonia e arriva a Filippi e poi nella capitale di questa provincia, la città di Tessalonica. In questa città la predicazione dei missionari permette loro, rapidamente, di gettare le fondamenta di una comunità cristiana[7]. Ma questi missionari non possono restare a lungo nella città. In effetti, come si può leggere negli Atti degli apostoli (17,5ss), Paolo e i suoi collaboratori incontrano ostilità e opposizioni soprattutto da parte degli Ebrei della città e vengono accusati di agire contro i decreti dell’Impero Romano. Davanti a queste difficoltà, i cristiani di Tessalonica, durante la notte, fanno partire Paolo e i suoi collaboratori.

            Questa partenza è una sofferenza per Paolo che ne parla nella Prima lettera ai Tessalonicesi.

31 Non potendo più resistere, scegliemmo di restare soli ad Atene 2 e mandammo Timoteo, nostro fratello e collaboratore di Dio nel [predicare] il vangelo di Cristo. Doveva consolidarvi e incoraggiarvi nella vostra fede 3 perché nessuno vacilli nelle tribolazioni presenti. Del resto sapete che questa è la nostra sorte. 4 Di fatto, proprio trovandoci fra voi, ve l’avevamo predetto che avremmo subìto delle afflizioni. Così avvenne e lo sapete. 5a Per questo anch’io, non potendo più resistere, ho mandato Timoteo per informarmi della vostra fede (Prima lettera ai Tessalonicesi 3,1-5).

            Dopo la sua partenza da Tessalonica, Paolo voleva tornarvi ma, per dei motivi che non ci sono noti, egli non ha potuto fare questo viaggio e quindi ha mandato a Tessalonica il suo collaboratore Timoteo. E, nella nostra lettera, Paolo lo qualifica come « nostro fratello e collaboratore di Dio nel [predicare] il vangelo di Cristo »[8]. Chiamandolo « nostro fratello » Paolo dà a questa espressione una dimensione molto più ampia rispetto al titolo « fratello » utilizzato frequentemente dai cristiani. In effetti, un legame speciale unisce Paolo al suo compagno nella missione: annunciare la bella notizia che ha il Cristo come tema (Galati 1,16) e che si realizza in forza di una missione ricevuta dal Cristo[9]. Accanto alla qualifica « nostro fratello », particolarissimo è il titolo « collaboratore di Dio ». Con la stessa radice greca[10] e utilizzando il participio, Paolo nella Seconda lettera ai Corinti 6,1 parlerà dei « collaboratori », collaboratori che, in questo contesto sono collaboratori di Dio. E qui questi collaboratori di Dio sono Paolo stesso e coloro che si impegnano con lui nell’annuncio della buona notizia del Cristo, la buona notizia che ha la sua sorgente in Dio[11].

            Infine, davanti all’espressione « collaboratore di Dio nel [predicare] il vangelo di Cristo », come non pensare alle ultime frasi del Vangelo di Marco: « Il Signore Gesù, dopo aver parlato ai [discepoli], fu elevato al cielo e sedette alla destra di Dio. E i discepoli, partiti, predicarono dappertutto, mentre il Signore collaborava con loro e consolidava la parola con dei segni che la accompagnavano » (Marco 16,19-20). In quest’ultima frase del Vangelo noi abbiamo, attribuito a Dio, lo stesso participio che Paolo utilizza a proposito di Timoteo[12].

            È il momento di concludere. Il Corano e il Nuovo Testamento ci domandano di impegnarci « [nel cammino che porta] a Dio » e di collaborare con Dio « perché nessuno vacilli nelle tribolazioni », le tribolazioni che accompagnano ogni persona nella sua vita. Impegniamoci dunque su questo cammino. E noi sare

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[1] Così Si Hamza Boubakeur in Le Coran. Traduction française et commentaire, Maisonneuve & Larose, Paris, 1995, p. 202.

[2] Cf. Abû Ja‘far Muhammad Ibn Jarîr at-Tabarî, Commentaire du Coran. Abrégé, traduit et annoté par P. Godé, Éditions d’art les heures claires, Paris, 1986, tome III, p. 89.

[3] Così Boubakeur, Op. cit., p. 231.

[4] « I miei aiutanti », « ançârî » in arabo. Per questa parola araba cf. A. Godin – R. Foehrlé, Coran thématique. Classification thématique des versets du Saint Coran, sous la direction de A. Cherifi Alaoui, Éditions Al Qalam, Paris, 2004, p. 342, alla voce « auxiliaires ».

[5] Cf. Abû Ja‘far Muhammad Ibn Jarîr at-Tabarî, Op. cit., p. 95.

[6] Questa decisione come conseguenza di un messaggio ricevuto da Dio ci è raccontata negli Atti degli apostoli 16,9ss.

[7] Cf. G. Barbaglio, Le lettere di Paolo. Traduzione e commento. Volume 1, Borla, Roma, 1980, p. 82s.

[8] Per le diverse varianti nel testo greco, cf. A Textual Commentary on the Greek New Testament, by B. M. Metzger, United Bible Societies, London – New York, 1971, p. 631.

[9] Ainsi S. Légasse, Les Épîtres de Paul aux Thessaloniciens, Cerf, Paris, 1999, p. 179s.

[10] Per questa radice greca, cf. G. Bertram, « sunergos ktl. » in Grande lessico del Nuovo Testamento, fondato da G. Kittel, continuato da G. Friedrich, Vol. XIII, Paideia, Brescia, 1981, coll. 199ss.

[11] Cf. F. Bianchini, Seconda lettera ai Corinzi. Introduzione, traduzione e commento, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano), 2015, p. 124.

[12] Per la relazione tra 1 Tm 3,2 e Mc 16,20, cf. E. von Dobschütz, Die Thessalonicher-Briefe, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen, 1974, p. 131.