Monografia – No. 43
Corpo e spirito

Bibbia, teologia e scienze umane

 

a cura di
Ernesto Borghi e Muriel A.M. Pusterla

 

Editoriale

Il Corpo: tomba dell’anima o vero IO dell’essere umano?

di Clara di Mezza

 

L’antropologia cristiana nella recente riflessione ha messo in pri- mo piano l’esigenza che la corporeità venga sperimentata quale valore. L’assunzione della propria corporeità appartiene al processo di identificazione dell’essere umano. Ciò presuppone che ciascuno venga accettato dagli altri nella sua corporeità, in un’educazione positiva al valore del corpo. L’equilibrio può venir compromesso tanto dal disprezzo e dall’indifferenza verso il corpo, quanto dal culto esagerato di esso. In concreto, influenze stimolanti nel campo della spiritualità sono esercitate dal programma di “riappropriazione del corpo” emergente proprio nella cultura contemporanea.

Nei secoli, però, si è assistito alla separazione, a volte persino opposizione, tra corpo e spirito. Infatti, se la riflessione filosofica sulle caratteristiche del corpo in se stesso, a livello biologico e fisico, è stata acquisita, la riflessione sui rapporti tra anima e corpo attraversa trasversalmente tutta la storia della filosofia, sostenendo ora la condanna totale del corpo quale tomba o prigione dell’anima, ora la sua esaltazione totale.

Tra i sostenitori della necessità di separarsi dal corpo il pensatore più significativo è certamente Platone, che nel Fedone indica come l’attività filosofica per eccellenza sia appunto compiere un cammino di distacco dal corpo. Tale attività, secondo Platone, darebbe all’anima, principio spirituale della persona umana, tutta l’importanza e l’ampiezza che le spetta. L’anima, infatti, è l’elemento peculiare dell’essere umano, per cui deve essere distinta dalla problematica corporale che ne ostacola la sua logica spirituale.

La prospettiva di Platone ha di mira l’immortalità: è l’anima che apre alla condizione divina dell’immortalità, mentre il corpo blocca e rinchiude l’essere umano nella condizione mortale. La catarsi, come p rificazione che prende le distanze dall’immediato e dal sensibile, è chiesta dalla saggezza filosofica: «… (il corpo) per questo egli è d’impaccio alla filosofia… per colpa sua non ci vien fatto contemplare la verità […]. E per tal ragione l’anima del filosofo non ha in fastidio il corpo? E non fugge via da esso, e di rimanere sola è bramosa?»1.

Un passaggio significativo e un punto di vista mai prospettato pri- ma si verifica dopo molti secoli con il filosofo Cartesio, il quale abbandona il concetto di strumentalità del corpo, cogliendo anima e corpo come due sostanze diverse e separate. La prima conseguenza è quella di aver definito l’indipendenza del corpo rispetto all’anima, e non dell’anima dal corpo come comunemente si credeva. Infatti, parlare di “strumentalità del corpo” significa affermare che esso non può far nulla senza l’anima.

Riconoscere, invece, che corpo e anima sono due sostanze indipendenti implica definire il corpo come una macchina autonoma che cammina da sé: «E anzitutto avverto qui che c’è una grande differenza tra l’anima e il corpo, per il fatto che il corpo per sua natura è sempre divisibile, l’anima invece totalmente indivisibile; di certo infatti quando considero costei, ovverossia me stesso in quanto sono soltanto una cosa pensante, non posso differenziare in me delle parti, ma comprendo di essere una cosa unica e integra»2.

Dal punto di vista filosofico, però, il dualismo cartesiano fa emergere il problema del rapporto anima/corpo: come è possibile che due so- stanze indipendenti si combinino a formare l’essere umano? E come è possibile che l’essere umano, in un certo senso realtà unica, possa essere il risultato di due realtà indipendenti? Cartesio, non avendo offerto una soluzione convincente, ha lasciato aperta la questione.

Al capo estremo della catena filosofica occidentale troviamo Nietzsche, secondo il quale il corpo è istanza creatrice dell’individuo. Per lui il corpo fa l’“Io” e l’anima non è che “parola” per designare qualcosa che è nel corpo. Quest’ultimo è il vero principio dinamico della vita, mentre l’anima non è che un elemento secondario e non necessario per l’esistenza umana: «“Io” dici tu, e sei orgoglioso di questa parola. Ma la cosa ancora più grande, cui tu non vuoi credere, il tuo corpo e la sua grande ragione: essa non dice “Io”, ma fa “Io”»3.

Nietzsche intende il corpo umano come realtà pensante capace di mettersi in relazione; è sorgente di tutto ciò che è umano. Il Dio cristiano non è altro che un Dio inventato per schiacciare il corpo e interdire le gioie dell’immediato. L’esistenza dell’anima sarebbe così un’invenzione per far tacere il corpo. Questo primato dato al corpo, più che una guerra aperta al cristianesimo, è l’annuncio di una nuova prospettiva culturale, un capovolgimento dei costumi e della sensibilità. Si passa, così, da un clima culturale rasserenato dalla metafisica ad un orizzonte incerto, tormentato.

Questo comprendersi a partire dal proprio corpo e attraverso di esso apre ad un’ermeneutica che obbliga a pensare in modo nuovo. Infatti comprendere l’essere umano a partire dal corpo e non più dall’anima significa che la filosofia abbandona una rappresentazione metafisica e abbozza un itinerario antropologico. Del resto, con la stessa morte di Dio prospettata da Nietzsche, la salvezza ha perso ogni risvolto ultraterreno per assestarsi nell’oggi e, poiché la salvezza non può essere pensata senza una riflessione sul corpo, evidentemente quest’ultimo im- pone una nuova prospettiva. Anche la salute – una volta salus indicava sia “salute” che “salvezza” – si assesta sul livello fisico come ricerca del superamento del limite, della soluzione possibile ad ogni male. Si assiste alla tentazione della vita senza la morte che, di per sé, è una tentazione antica: quella di diventare come Dio (cfr. Gen 3).

L’uomo di oggi si trova alle prese con la libertà di disporre di sé, che è esigenza di darsi consistenza e coscienza. In questo senso il corpo è il luogo a partire dal quale l’Io può dotarsi di una identificazione e individualizzazione personale: corpo come scrittura di una persona e traccia di un Io che dice l’identità della persona. C’è un Io che si narra, che scrive la sua realtà, la legge e la interpreta.

Questa nuova grammatica è l’inevitabile carta d’identità dell’individuo moderno con le sue esagerazioni e incertezze. L’essere umano non è un semplice organismo animale cui è stata aggiunta una coscienza, bensì è intelligenza corporea, spirito incarnato: ciò significa che i dinamismi del corpo umano presentano essi stessi una complessità che risponde all’intima unità della persona, sia nella percezione del proprio corpo sia nel riconoscimento dell’umano nel corpo degli altri. Affermare che la persona è unità corporeo-spirituale significa anche sottolineare quella soggettività unitaria e speciale che costituisce l’identità personale. È proprio il corpo che ci caratterizza come: “essere nel mondo”, in quanto entra in relazione con esso mediante il suo vivere e operare; “essere spaziale”, poiché è la posizione del proprio corpo a stabilire la sua prospettiva; “essere temporale”, poiché è soggetto al tempo anche se non ne è del tutto determinato; “essere mortale”, poiché il corpo è fragile e destinato alla morte; “essere sessuato”, per cui nella differenza si coglie un duplice modo di collocarsi nel mondo.

È interessante notare come attualmente abbia assunto notevole importanza la riflessione sul corpo e sul valore della persona umana, con i suoi diritti e la sua dignità. Eppure molto spesso ci si trova dinanzi a modalità di concepire la vita umana, il corpo e la persona, profondamente contrastanti e incoerenti. Ad esempio, pensiamo alla grande attenzione che la società odierna riserva alla cura del corpo, alla salute, alla bellezza e, al contrario, alle continue immagini di corpo mercificato, maltrattato, violato e abusato che quotidianamente passano sotto i nostri occhi. A fronte della complessità e della difficoltà di vivere e interpretare oggi in maniera corretta la dimensione corporea, gli insegnanti e tutti coloro che svolgono un ruolo primario nell’educazione e nella formazione dei giovani hanno il dovere di interrogarsi circa il giusto modo di parlar loro di corpo e corporeità.

All’interno della riflessione teologica, contro ogni forma di dualismo, si è affermato il concetto di unità della persona. Anche il Magistero ecclesiastico cattolico, relativo soprattutto ai temi della morale sessuale e della vita fisica, fa ricorso alla formula: «homo, corpore et anima unus» (costituzione conciliare Gaudium et Spes, 14). Quindi, dopo un lungo periodo storico in cui il corpo è stato considerato in situazione di inferiorità nei confronti dello spirito, si è fatta avanti un’azione di recupero e di attenzione nei confronti del corpo e della corporeità. In pratica, l’antropologia cristiana si pone come perno sul quale incentrare la discussione sulla persona umana e sulla sua modalità di relazione nei confronti del mondo e di Dio.

A tal proposito, sempre nel documento conciliare appena citato leggiamo: «Unità di anima e di corpo, l’uomo sintetizza in sé, per la sua stessa condizione corporale, gli elementi del mondo materiale, così che questi attraverso lui toccano il loro vertice e prendono voce per lodare la libertà del Creatore […]. Allora non è lecito all’uomo disprezzare la vita corporale; egli anzi è tenuto a considerare buono e degno di onore il proprio corpo, appunto perché creato da Dio e destinato alla risurrezione nell’ultimo giorno. E tuttavia […] l’uomo sperimenta le ribellioni del corpo. Perciò è la dignità stessa dell’uomo che postula che egli glorifichi Dio nel proprio corpo (1Cor 6,13-20)» (GS, 14). In termini teologici, questo breve passo va inteso nel senso che, proprio per meglio rispondere alla volontà creatrice di Dio, l’essere umano interviene sulla propria natura biologica, sul proprio corpo, cercando di modellarlo per rispondere al progetto divino della creazione, concretamente ricercato e attuato all’interno della storia.

Concludendo, la dimensione corporea della persona rivela la sua storia. Quando la persona vive la sua storia biologica in prospettiva di fede, il corpo diviene il luogo dove vengono accolti e si rendono visibili gli interventi della grazia divina che costituiscono la storia della salvezza personale. Il dinamismo della storia salvifica immerge la nostra corporeità nella luce del Corpo di Cristo, il quale si è fatto uomo, è morto e risorto, e verrà di nuovo nella gloria. L’uomo vive e realizza se stesso solo nella concretezza del suo rapporto con il mondo. Gesù visse nel mondo, in mezzo ai poveri, ai peccatori, ai malati. Nutrire il corpo, curarlo, era per Cristo una priorità.

Per coloro che cercano di essere cristiane e cristiani è questo, perciò, il modello da imitare. Sull’esempio di Gesù Cristo esse/essi sono chiamate/i a proteggere e a curare il corpo, in special modo se debole, ferito e malato. E chi è di ispirazione culturale diversa potrebbe trovare elementi costruttivi anche per sé in questa prospettiva esistenziale? Lasciamo la risposta a questo interrogativo alle lettrici e ai lettori delle prossime pagine, che, in termini di seria divulgazione, intendono affrontare i temi “corpo” e “spirito” da vari punti di vista, così da suscitare domande, stimoli all’approfondimento, aperture d’orizzonte tra antichità e contemporaneità.
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  1. Platone, Il Fedone ovvero Dell’immortalità dell’anima, Mondadori, Milano 2008, pp. 125-126.

  2. Cartesio, Meditazioni metafisiche, Bompiani, Milano 2010, pp. 283-285.

  3. F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, in Opere di Friedrich Nietzsche, Adelphi, Milano 1986, vol. VI, p. 34.

 

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