SEI INVIDIOSO PERCHE’ IO SONO BUONO?
SEI INVIDIOSO PERCHE’ IO SONO BUONO?
Commento al Vangelo
di p. Alberto MAGGI OSM
Mt 20,1-16
«Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, e disse loro: “Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò”. Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre, e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?”. Gli risposero: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. Ed egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna”.
Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e dai loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro. Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”.
Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”. Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi».
Non è facile accettare un Dio che anziché premiare i buoni e castigare i malvagi fa invece “sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni” (Mt 5,45), offrendo a tutti il suo amore. Un Dio del genere sembra ingiusto, come il padrone della parabola narrata da Gesù (Mt 20,1-15).
In essa viene presentato un proprietario terriero che assolda dei braccianti per la sua vigna. L’importanza del lavoro fa sì che sia il padrone stesso a uscire da casa all’alba, per andare alla piazza del paese, e ingaggiare operai (Mt 20,1). La paga era un denaro il giorno, ed è questa che il padrone assicura ai lavoratori. La gran disponibilità di mano d’opera faceva sì che con una sola chiamata di operai si potesse soddisfare il fabbisogno dell’intera giornata.
Invece, a sorpresa, verso le nove del mattino, il padrone esce di nuovo, in cerca di altri operai. Non lo fa per la necessità della vigna – i primi chiamati sono più che sufficienti – ma li assolda perché essi sono ancora disoccupati, e senza lavoro, in quella società, significa non mangiare. È al loro bisogno che il padrone pensa. E a questi promette di dare un compenso in base al lavoro fatto (“quello che è giusto”, Mt 20,4).
A metà giornata, l’uomo torna di nuovo in piazza, e assolda altri operai, e lo stesso fa alle tre del pomeriggio. Ormai di operai nella vigna ce ne sono abbastanza, ma il padrone è più preoccupato dal fatto che ci siano persone senza lavoro che del suo interesse.
Ed è ormai quasi il tramonto, verso le cinque del pomeriggio, quando il padrone si reca in cerca di altre persone che nessuno ha chiamato a lavorare. Manca soltanto un’ora al termine della giornata lavorativa, ormai nessuno li prenderà più. Non hanno lavorato, quindi non mangeranno. Se nessuno ha pensato a loro, se ne occupa il padrone della vigna, che chiama anche questi a lavorare, senza parlare però di alcun compenso: non lavoreranno neanche un’ora, e potranno essere ripagati con un tozzo di pane.
La piazza del paese è deserta. Nessun bracciante è in attesa del lavoro: sono tutti alla vigna, che sovrabbonda di operai. Quelli che hanno iniziato il lavoro all’alba, sono stati ben felici di veder arrivare durante tutto il giorno altre braccia per aiutarli nel lavoro; con il loro apporto la giornata non è stata pesante.
La loro felicità si trasforma in entusiasmo quando vedono che il fattore comincia a pagare gli ultimi, quelli che hanno lavorato un’ora scarsa, e dare loro un denaro: non è una paga, ma un regalo. Se quelli che hanno lavorato un’ora ricevono quanto era stato pattuito con i primi lavoratori per una giornata intera, a quelli che hanno sopportato il peso della giornata e la calura certamente verrà dato almeno tre volte tanto.
Ma quando questi vedono che sono retribuiti con un denaro, come era stato pattuito,sfogano la loro delusione e il loro malumore, perché erano certi “che avrebbero ricevuto di più” (Mt 20,10), e ritengono il padrone ingiusto. Il signore della vigna non è stato ingiusto (quel che aveva pattuito è quel che è stato dato), ma generoso. Non toglie nulla a quelli che hanno lavorato dall’alba, ma vuole dare lo stesso salario anche agli ultimi. Difendendo il suo comportamento, il padrone della vigna si definisce buono (“Sei invidioso perché io sono buono?”, Mt 20,15). Nell’atteggiamento del proprietario della vigna, Gesù raffigura quello del Padre.
Dio non è un padrone severo, ma un signore generoso che non retribuisce gli uomini secondo i loro meriti, ma secondo i loro bisogni, perché il suo amore non è concesso come un premio, ma come un regalo. Quel che motiva il suo agire è la necessità dell’uomo, la sua felicità. E se a qualcuno questo comportamento può sembrare ingiusto, e non gli sta bene, è perché il suo è un “occhio maligno” (Mt 20,15), quello dell’avaro, dell’invidioso (Dt 15,9), di colui che fa tutto per la sua convenienza. Questi non potrà mai capire l’agire di un Dio che non “cerca il proprio interesse” (1 Cor 13,5), ma quello dell’uomo.
Parabola dei lavoratori nella vigna
di Rembrandt Harmenszoon van Rijn (1606-1669)