Il “ricordo pericoloso” di Gesú
Il “ricordo pericoloso” di Gesú
p. José Maria CASTILLO
L’assassinio di cinque gesuiti e due impiegate dell’Uca (Università centroamericana di San Salvador) il 16 novembre 1989 è coinciso, in quello stesso anno ed in quello stesso mese, con la caduta del muro di Berlino. Si è detto che gli avvenimenti di quel momento storico, non solo in Europa ma anche in Centroamerica, sono stati “la metafora suprema del trionfo della libertà”. E, come ha scritto Bertrand de la Grange, corrispondente di Le Monde in Centroamerica in quei giorni, in quel novembre del ’89 il mondo ha assistito al “crollo del blocco sovietico che ha condannato la lotta armata ed ha accelerato i processi di pace in Centroamerica”.
La coincidenza (a distanza di pochi giorni) tra gli assassini dell’UCA nel Salvador, e la caduta del Muro a Berlino, rappresenta i due volti della lotta per la conquista dell’uguaglianza e della libertà, i due pilastri sui quali si possono (e si devono) costruire i diritti umani e la pace nel mondo. Per la conquista di questo ideale hanno sofferto e sono morti quelli che sono caduti davanti al muro di Berlino e quelli che sono stati assassinati nel Salvador.
Per strade opposte, ed a prima vista contraddittorie, gli uni e gli altri sono morti per la stessa causa: la lotta per la libertà e la dignità. In fin dei conti, quando si tratta di ottenere la libertà, è lo stesso se l’oppressione viene dalla destra o dalla sinistra. In entrambi i casi, si ruba agli esseri umani quello di più grande che si può togliere loro, la loro dignità. E questo ha infiammato le vittime catturate dal muro di Berlino ed i quasi 4.000 salvadoregni morti nelle due settimane di combattimento, tra guerriglieri, soldati e popolazione civile, a partire dall’11 novembre 1989.
Si è detto che quell’offensiva ha aperto la possibilità della pace, siccome era chiaro che non si poteva decidere la guerra militarmente. In questa congiuntura, il 15 novembre 1989 lo Stato Maggiore dell’esercito salvadoregno decise di eliminare i “leader riconosciuti” che lo ostacolavano nel suo progetto di continuare a dominare il popolo. All’alba del giorno 16 furono assassinati i martiri dell’UCA.
L’insegnamento che ci viene chiaramente da tutto ciò, è un fatto che fa molto pensare:
attraverso il cammino della repressione e della dominazione, alziamo muri e frontiere che ci dividono, ci separano e ci allontanano. Tuttavia, grazie al cammino di quelli che danno la vita perchè non sopportano la disuguaglianza e la mancanza di libertà, facciamo passi da gigante verso un mondo nel quale sarà possibile vivere in pace.
Per questo posso affermare con certezza che mi dà una tristezza immensa la posizione ignorante e fanatica di chi si ostina nel continuare a dire che, a partire da mons. Romero fino ai gesuiti dell’UCA, tutti quelli che hanno lottato e sono morti in Centroamerica per l’ideale di una società più giusta, più liberà e più uguale, erano solo militanti politici di sinistra che volevano imporre un sistema di dominazione totalitaria. Quelli che ricorrono a questo volgare linguaggio di banali luoghi comuni, non si rendono conto che tutto quel processo del Centroamerica è avvenuto proprio quando stava crollando il Muro che separava i due blocchi e che rappresentava la fine della guerra fredda e del sistema totalitario imposto dal comunismo?
Stando così le cose, si può affermare con tranquilla certezza che Ignacio Ellacuría e gli altri gesuiti (come i contadini del Mozote e tante migliaia di morti di quel mese nel Salvador) sono stati “gli orfani del Muro”? A chi ha il coraggio di prendere sul serio tale questione chiedo: e che diciamo di coloro che sono morti per far crollare per sempre il Muro di Berlino? Anche questi sono stati nemici della giustizia e della libertà?
Non c’è una cosa che mi faccia più pena del fatto che la gente non pensa perchè è incapace di pensare. Chi pensa sempre quello che gli altri pensano, vive sempre alla mercé di quello che interessa ad altri, non di quello che conviene loro. E questo, ora più che mai, abbonda molto per disgrazia di tutti.
Di Ignacio Ellacuría e di quei gesuiti mi fa impressione la loro libertà e la loro coerenza. Io stesso l’ho vissuta e percepita con le mie mani ed i miei occhi quando, poco dopo la morte di quei martiri, ho avuto la grande fortuna di poter andare all’UCA per dare una mano – per 16 anni -, con il compito di coprire l’immenso vuoto lasciato da quei testimoni delle loro più profonde convinzioni, le convinzioni del Vangelo, la maniera di vivere delineata nel “ricordo pericoloso” di Gesù.
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Articolo pubblicato su Religión Digital (www.religiondigital.com ) il 10.11.2014
Traduzione di Lorenzo TOMMASELLI