Questo è importante, il “tuo” talento. Il padrone glielo aveva dato, infatti gli altri hanno detto “quello che io ho”. Invece lui non si è mai considerato padrone di questo talento. Infatti dice “Il tuo talento”, e lo ripete, “«’Ecco ciò che è tuo’»”.
Non l’ha mai considerato proprio. La risposta del padrone è molto severa. “«’Servo malvagio e pigro’»” – e omette di definirsi “uomo duro”, come il servo l’aveva definito – “«’Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso?’»”, l’espressione del padrone è in forma interrogativa, lui non è così. “Sei tu che pensi che io sia così, sei tu che hai quest’immagine sbagliata di me”, quindi è all’interrogativo.
La paura di sbagliare nell’individuo ha paralizzato la sua crescita e il padrone lo rimprovera dicendo: “«’Avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento …’»”, perché viene tolto il talento? E perché lasciargli quello che per lui è soltanto motivo di angoscia, di ansia, di paura? “«’ … E datelo a chi ha dieci talenti’»”.
Ed ecco qui la sentenza di Gesù, molto importante, che già abbiamo ascoltato nella parabola dei quattro terreni, “«’A chiunque ha verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi no ha, verrà tolto anche quello che ha’»”.
Il verbo “avere“ (e;cw) è un verbo risultativo, che è il risultato sempre di qualcosa. Qui si tratta di produrre. A chi produce amore, viene data una ancor più grande capacità d’amare; ma chi non produce piano piano si sterilisce quella che ha e si trova a non avere più niente.
Quindi non si tratta di un’ingiustizia da parte del Signore, ma si tratta di una dinamica della vita. A chi fa fruttare i doni viene data un’aumentata capacità di farli fruttare; più si ama e più si viene resi capaci di amare dal Signore.
Ed ecco la conclusione tremenda, molto severa. “«’E il servo inutile …’»”, chiamato ad essere signore, è rimasto servo. Gesù vuole traghettare i suoi discepoli da una condizione di servi di Dio, come Mosè aveva loro imposto – l’alleanza di Mosè è un’alleanza tra dei servi e il loro signore – a figli di Dio, signori come lui.
Ma Gesù tiene presente la difficoltà di passare da questa condizione e di obbedienza, a quella della libertà dei figli di Dio. Non tutti ci riescono perché la libertà non ha nessuna sicurezza se non quella della forza interiore. Allora il servo inutile, chiamato ad essere signore, ma rimasto servo, “«’Gettatelo fuori nelle tenebre’»”, perché nelle tenebre? Lui, avendo seppellito il suo talento, si era già seppellito, lui era già morto, non aveva vissuto. “«’Là sarà pianto e stridore di denti’»”,
espressione con la quale nella Bibbia si indica il fallimento di un’esistenza. E questa persona ha fallito la sua esistenza per la paura di Dio.
E’ la religione che inculca la paura di Dio per dominare le persone. Ma Gesù viene per liberare da questo. C’è nella prima lettera a Giovanni (4,17,18) un’espressione molto bella: “nell’amore non c’è timore e chi teme non è perfetto nell’amore”.
Quindi non la paura di Dio deve regolare l’atteggiamento del credente, ma l’amore. L’amore libera ed è liberatore delle persone.
Parabola dei talenti
Our Lady Queen of Apostles, Hamtramck, Michigan, USA